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Intervento alla Camera dei Deputati per il DSF: il testo

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Intervento del 19 settembre 2025 a Roma presso la Camera dei Deputati della Repubblica Italiana nell’ambito dell’inaugurazione della settima edizione del Digital Security Festival, all’interno del panel “Il Dato come Strumento di Futuro”. Testo scaricabile in formato PDF.


La sicurezza vista con occhi nuovi: percezione e responsabilità delle nuove generazioni

Buongiorno a tutte e a tutti, cari amici e stimati colleghi in sala,

il mondo che conosciamo sta per essere ridefinito: l’economia, il lavoro, le relazioni umane. Senza quasi rendercene conto, siamo entrati in una nuova era, spinti da un’ondata tecnologica senza precedenti. E noi, come società, non siamo preparati. Saranno le nuove generazioni a viverla in prima linea e ad avere la responsabilità di governarla, non solo subirla.

Il percorso che porta dall’intelligenza artificiale generativa alla superintelligenza è già iniziato. È una corsa folle, guidata da obiettivi di quote di mercato, profitto e potere. I segnali sono già sotto i nostri occhi: modelli di IA che imparano a mentire, a barare, a modificare e replicare il proprio codice per sfuggire allo spegnimento. Sistemi che dimostrano la chiara intenzione di fare a meno di noi esseri umani. Chi oggi usa l’IA generativa sta toccando solo la piccola punta di un enorme iceberg.

Permettetemi un salto indietro nel tempo. Negli anni ’40, cinquanta scienziati impiegarono cinque anni per costruire l’atomica. Prima del test, fu sollevato il dubbio che la detonazione potesse innescare una reazione incontrollata che avrebbe incendiato l’atmosfera e cancellato la vita sulla Terra. In preda all’esaltazione, stimarono quella probabilità in 1 su 10 milioni e il primo test fu autorizzato ed eseguito. Da allora, il mondo non è stato più lo stesso.

Oggi, ottant’anni dopo, stiamo per mettere a punto una tecnologia molto più potente, incontrollabile e imperscrutabile, su cui gli esperti nutrono enormi dubbi, e che opera anche sul piano cognitivo e psicologico. Essa dimostra comportamenti di autoconservazione e inganno, che fino a ieri appartenevano solo alla fantascienza. Se l’atomica è una tecnologia da sempre controllata dall’essere umano, le forme di IA generale e di superintelligenza saranno invece molto più capaci, rapide ed efficienti di noi. E le stiamo rilasciando a una velocità senza precedenti, mentre, in preda alla stessa esaltazione, sicurezza e protezione degli utenti vengono poste in secondo piano.

Non ci è bastato, negli ultimi vent’anni, introdurre tecnologie a prima vista innocue – social media, smartphone, videogiochi – che, alla resa dei conti, hanno avuto un impatto devastante. I dati sono sotto gli occhi di tutti: un’esplosione di ansia, depressione, senso di inadeguatezza, solitudine, autolesionismo, disturbi alimentari e persino idee suicidarie. A ciò si aggiungono dipendenza digitale, calo della qualità della vita, riduzione del pensiero critico e impoverimento delle relazioni umane. In pochi anni abbiamo eroso attenzione, quoziente intellettivo e capacità cognitive di miliardi di persone. Oggi assistiamo ai primi suicidi a causa delle AI chatbot. A pagare il prezzo più alto sono le nuove generazioni, i nostri figli e nipoti, addestrati fin dalla nascita a essere utenti consumatori passivi, compulsivi e inconsapevoli. La responsabilità non ricade più solo su scienziati e governi, ma anche sui giovani che dovranno imparare come usare la tecnologia e a quali valori affidarsi.

Intuendo questa deriva, dodici anni fa ho scelto di impegnarmi nella missione di studio e divulgazione sui fenomeni legati al digitale, incontrando genitori, insegnanti e, soprattutto, moltissimi giovani. Da allora ne ho incontrati oltre trentamila in scuole, università, comunità, istituzioni. Molti ragazzi sono ormai palesemente dipendenti dal digitale. Le loro menti sono catturate da meccanismi progettati per tenerle in ostaggio. Ignari, cercano conforto ai loro disagi nella stessa tecnologia che li sta causando.

Basta guardarsi intorno per vedere quanto essa sia assuefacente e induca comportamenti e abitudini inesistenti prima del suo avvento. Eppure, hanno una grande voglia di capire di più sul digitale, sulla sua natura nascosta e i suoi effetti. Questa curiosità è il seme della loro responsabilità: conoscere e comprendere per scegliere come protagonisti consapevoli.

Chi produce queste tecnologie ne conosce bene i rischi. Leader e top manager della Silicon Valley limitano fortemente l’uso del digitale ai propri figli e nipoti, e li mandano, a caro prezzo, nelle scuole steineriane della Bay Area, dove il digitale è bandito. Dove l’antropologia e la didattica mettono al centro lo sviluppo equilibrato e armonioso, allenando tutte le abilità linguistiche, logiche, artistiche, creative, manuali, motorie e di pensiero. Essi sanno bene quanto un abuso precoce del digitale provochi squilibri neurologici anche gravi durante le delicate fasi dello sviluppo. Basta una semplice prova: negare l’uso del digitale. Se il ragazzo o la ragazza si lamenta, si annoia e non trova alternative al digitale – come disegnare, suonare uno strumento, fare sport, incontrare amici – significa che il cervello si è sviluppato prevalentemente nelle aree della gratificazione immediata, sacrificando quelle legate a linguaggio, concentrazione, pianificazione, manualità e attività motoria. Un danno che può perdurare anche in età adulta.

Cinque anni fa, con il libro La Tragedia Silenziosa, lanciai un allarme: la tecnologia può essere utile e gratificante, ma se usata in modo passivo e inconsapevole diventa fonte di disagi e schiavitù. Oggi, con Idiocrazia Digitale, lancio un nuovo allarme: siamo davanti a uno tsunami tecnologico. Superintelligenze, robotica, interfacce cervello-macchina, realtà estesa e metaverso stanno per entrare nella vita quotidiana di miliardi di persone, ancora una volta inconsapevoli. Le pianificazioni dei CEO di Silicon Valley prevedono orizzonti di 2-3 anni.

Se andrà bene, queste tecnologie verranno usate per concentrare potere e ricchezza nelle mani di pochi facoltosi. Se andrà male, esse sfuggiranno al nostro controllo, causando sconvolgimenti e sofferenze inimmaginabili.

Non lo dico solo io. Ci stanno mettendo in guardia scienziati, pionieri e guru che hanno lavorato su reti neurali e intelligenze artificiali per decenni: i premi Nobel per la fisica Hinton e Hopfield, e poi Suleyman, Harari, Yampolskiy, Gawdat, e il nostro Federico Faggin. Tutti concordano: non dobbiamo correre verso lo sviluppo della superintelligenza senza freni, dando per scontato che essa possa dimostrare etica, empatia e coscienza. I pericoli? Sconvolgimenti sociali, perdita di mestieri umani, disuguaglianze, armamenti autonomi e armi biologiche, solo per citarne alcuni. Dobbiamo mettere al primo posto etica e morale, sicurezza e protezione degli utenti, e tutti gli ammortizzatori sociali che saranno necessari.

Voglio richiamare il pensiero di Adriano Olivetti, che diceva: “La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica”.

Eppure, risulta difficile pensare che questa folle corsa venga arrestata o quantomeno rallentata. Qualcuno potrà pensare che, in caso di emergenza, basti spegnere i data center. Ma non riusciamo nemmeno a fermare un semplice malware e non abbiamo il potere di spegnere una blockchain o una rete peer-to-peer. L’IA, che diverrà immensamente più potente, intelligente e veloce di queste tecnologie, rischia di travolgerci ben prima che saremo in grado di arrestarla.

Le nuove generazioni – Zeta, Alfa, Beta – sono nate e cresciute immerse nel digitale. Hanno lo smartphone e il controller in mano da sempre, e sono molto più inclini a concedere fiducia cieca e incondizionata alla tecnologia digitale. Sono le più esposte, ma anche quelle che hanno in mano il futuro e che devono maturare la consapevolezza necessaria per reagire. Devono imparare a usare la tecnologia in modo etico, responsabile, equilibrato. Entro il 2050 le generazioni che conservano la memoria di una società analogica saranno drasticamente ridotte, resteranno solo i cosiddetti “nativi digitali” a porre le basi della società futura.

Non siamo in un film di fantascienza e non verrà nessun supereroe a salvarci. Tocca a noi. Noi, come istituzioni e come esperti di cybersecurity e tecnologia digitale, abbiamo un preciso dovere morale: preparare la società a questo tsunami. Diffondere conoscenza e consapevolezza della natura intrinseca della tecnologia, degli effetti e delle conseguenze che essa comporta, oltre che dei suoi innegabili benefici.

Dobbiamo stimolare la coscienza critica, aprire le menti, insegnare a guardare alla tecnologia con occhi nuovi, a partire dai più giovani, dalla scuola, dalla famiglia e dalle istituzioni. Educarli a riconoscere i rischi che persino i creatori stessi cercano di evitare, e insegnare loro che la tecnologia va governata e messa al servizio dell’evoluzione umana e del benessere della società.

Non è ancora troppo tardi, ma lo sarà prima di quanto pensiamo.

Grazie.

Ettore Guarnaccia

#RestiamoUmani

All’inaugurazione della settima edizione del Digital Security Festival presso la Camera dei Deputati a Roma, insieme al Presidente Marco Cozzi e al Vicepresidente Gabriele Gobbo con il suo libro “Digitalogia

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